(scritto a inizio pandemia per il numero “Moltitudini” de “L’Area di Broca”)
Giovanni Boldini “Ritratto della Marchesa Luisa Casati con piume di pavone”
Mentre scrivo mi trovo, come milioni di contemporanei, chiuso in casa da giorni per disposizioni governative. Il nostro compito è fronteggiare così l’emergenza sanitaria in corso. Isolati nei nostri silenzi ci sembra assurdo sentirsi utili; come volessimo una parte da protagonisti, un ruolo chiaro, determinante per sconfiggere, o almeno contribuire a sconfiggere il male. Non avere contatti con altri esseri umani, invece, improvvisamente diventa fondamentale e, anzi, l’unico vero modo di di-fenderci e difendere il prossimo dalla pandemia. Il potere, l’economia, le religioni, le ideologie, ci divi-dono; il virus ci unisce. Siamo una moltitudine finalmente unita nel terrore e nella morte, ma unita. Sono già molti coloro che hanno perso la vita a causa del contagio e, come le statistiche si affrettano a divulgare, pare che siano maggiormente esposti i vecchi, o gli anziani, quasi a mitigare il senso del pericolo e della paura diffusi nella popolazione di mezzo mondo, con una notizia tutto sommato, non dico ovvia, ma in qualche modo comprensibile, quanto lo è almeno una risultante di un effetto naturale. In questi drammatici giorni, sui social è un fiorire di immagini e video che hanno come oggetto altri animali, per lo più ritratti o ripresi in ambienti antropizzati, città o in genere luoghi pertinenti al genere umano. Noi siamo barricati nelle nostre case, d’un tratto invisibili, inesistenti; fuori ci sono gli altri. È un modo di segnalare un ammonimento proprio a noi circa la nostra fame di spazi, non sempre dettata da vere necessità demografiche. Fino a quando non è stato chiaro il reale pericolo, gli stessi luoghi, nel nostro immaginario e nelle riproduzioni visive, oltre che nella realtà quotidiana, erano corre-dati dalla sola presenza umana e, soltanto in alcuni casi, accompagnata da quella di altri animali, ma come mero sovrappiù al nostro piacere: cani al guinzaglio, gatti sui davanzali, pavoni nei giardini. Il messaggio, non sempre dichiarato, ma direi palese, è riassumibile in una retorica che, per la verità, ancor prima della SARS-CoV-2 aveva buon gioco di fronte a ogni misfatto o catastrofe natura-le e vorrebbe ricordarci che la natura si sta riprendendo i suoi spazi, da più parte ripetuto come un mantra. Zanzotto, in Filò e altre poesie: “… madre da male-dire e da adorare/ che è vinta soltanto (alle sue leggi) obbedendo./ E che cosa ti abbiamo fatto, quanto ti abbiamo/ fatto/ di male – intossicata, sconquassata, rosicchiata/ castrata – non per il bene nostro che dal tuo non/ può separarsi,/ ma per l’avidità di pochi, gufi dal gozzo pieno,/ zeppi fino all’intontimento/e per sempre intenti a sgranocchiare,/ per le bave di soldi lumaconi del tutto fradici,/ e per colpa di chi dovendo difenderci, e difenderti/ da loro, / ne era complice, invece.” Come si vede, però, le cose non sono cambiate, (con Filò siamo negli ultimi anni del secolo scorso, oggi negli anni venti del nuovo secolo) dal momento che l’insofferenza che proviamo nello stare a casa, ci indica quanto sia necessaria per noi la condivisione, lo scambio, il duellare, l’incontrarci o scontrarci. Non vediamo l’ora di riconquistare quegli spazi che ci sono stati sottratti, raggiungere quell’antico primato che avevamo al centro della foto, al posto del pavone. La visione del paesaggio privo di presenza umana ma nuovamente luogo ideale per le altre specie, ci richiama l’Eden e non l’Apocalisse … viene veramente da pensare che la natura stia procedendo secondo le sue regole e non secondo le nostre: cervi che attraversano i viali indisturbati, cinghiali nelle piazze e tanti altri ani-mali che, se non fosse per questo sconvolgente disastro sanitario, molti di noi avrebbero visto soltanto nei documentari. Si auspica, anzi in taluni casi se ne ha quasi la certezza, che questo ennesimo ammonimento naturale, porrà nuove condizioni per una vita diversa applicabile all’intera popolazione mondiale. Questo però comporterebbe un tipo di sviluppo, soprattutto economico, oltre che morale e politico, difficilmente digeribile da parte di quella minoranza mondiale che detiene una percentuale di ricchezza superiore alla somma di quella posseduta dalla maggioranza. Per intenderci, “l’avidità di pochi, gufi dal gozzo pieno” non permetterà significative modifiche all’attuale modello di sviluppo e di crescita dei (loro) capitali. Per esorcizzare la paura di essere annientati, ci si ingegna con iperboliche e contorsionistiche dimostrazioni, secondo le quali il virus non esiste, che un complotto planetario sta tentando di sottomettere il genere umano per ricavarne benefici in termini monetari, oppure che è stata sopravvalutata la pericolosità di un’epidemia che anche in passato, con nomi diversi, ha mietuto vittime. Si cerca di uscire dal gorgo di circoli viziosi addossando colpe, rivendicando ragioni del genere: “lo dicevo io” … Come in cima alla torre cercando di farci capire nel tentativo di raggiungere l’irraggiungibile, privi di qualsiasi modestia, con gozzi pieni e intontiti all’inverosimile.